Monday, October 19, 2015

Notre avenir est dans l'air by Marco Mignani





My little structures in the beautiful photos taken by Marco Mignani, above his other pics



Silvia Idili, Visionaria


Eva Hide, Batterie non incluse


Tamara Ferioli, Finché vita non ci separi


Giovanni De Francesco, Trionphe


Notre avenir est dans l’air
di Fabio Carnaghi

Notre avenir est dans l'air trasforma lo spazio dell’Antiquarium Alda Levi in un laboratorio di visioni del futuro grazie agli interventi di sedici artisti contemporanei nella relazione con le collezioni archeologiche del museo. Il contributo di ogni artista si lega ad un reperto, che seguendo una procedura scientifica è stato accostato per assonanza poetica all’opera contemporanea. Accanto ai reperti, pezzi inediti provenienti dalle collezioni museali e da sequestri giudiziari messi a disposizione degli artisti dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia, prendono vita dialoghi che, oltre la datazione, testimoniano continuità esistenziali, materiali e di pensiero.
Il titolo della mostra trae spunto dall’omonima opera di Picasso del 1912, esposta sul muro dell’atelier di André Breton nella seconda stanza del suo appartamento di Rue Fontaine a Parigi. Oggi questo tema si rinnova nel dialogo tra conservazione e innovazione, tra storia e contemporaneità nel rendere urgente la consapevolezza di ciò che accadrà e di ciò che saremo. 
Il futuro in una prospettiva escatologica è vissuto nell’accezione di lontananza e di riscatto: una meta da raggiungere altra da noi ma che rappresenta il tempo del passaggio di consegne ai posteri con l’aspirazione di lasciare una traccia della nostra esistenza.
Nella sua idea di distanza da percorrere e da riempire ma senza una reale tangibilità, il tempo futuro eredita la ciclicità fatalista della concezione di aion, il tempo eterno. L’incertezza e la consistenza smaterializzata del futuro oggi, nella cultura algoritmica, si tramuta in semplificazione procedurale che ascrive al passato l’insignificanza del superato e accorda al futuro il significato di perfezionamento, dal momento che l’uomo nella sua totale dipendenza dall’apparato tecnico diventa astorico, non disponendo di altra memoria se non di quella mediata dalla tecnica. 
Il percorso della mostra è un repertorio di risposte ad una lettura del passato e ad una restituzione della contemporaneità come traccia di sopravvivenza e proiezione verso il domani. 
Nella prima sala l’excursus si apre con la grande carta cosmologica di Simone Pellegrini che racchiude il senso dell’arcano che da sempre si cela nell’animo umano. Come una cosmologia senza tempo le allegorie di un linguaggio quasi apotropaico, la “macrominiatura” di Pellegrini racconta la superstitio che trova confronto nella gemma magica con una figura divina a testa di gallo ed una scritta cifrata. Chiara Lecca con la serie fake marble si accosta ad un balsamario in alabastro, equivocando nella resa della materia traslucida in materiale organico animale, spirito primordiale che si ripete nel tempo. Marjolijn De Wit contrappone la natura di paesaggi massmediali tratti da archivi digitali con una ceramica che sottolinea l’atavico e combattuto rapporto tra cultura e natura, tra artificiale e spontaneo.  Eva Hide con le loro maioliche sovversive si relazionano in modo irriverente con la tradizione della ceramica vascolare figurata, rotocalco di mitologie e di leggende. L’inquietudine dell’indicibile legata ad un improbabile vasellame da mensa testimonia la fine della medietas e l’avvento dell’eccesso debordante. Le teorizzazione di un’architettura di utopie e di visioni leggere abbatte le murature possenti e la monumentalità della storia nel poetico intervento ventilato di Devis Venturelli in cui all’inerte impattante si sostituiscono morbidezza, colore e vento. 
La seconda sala è caratterizzata dal rapporto con la cultura materiale e l’oggettualità dei reperti. Le ceramiche informali di Lorenza Boisi sfatano le stereotipie di ogni catalogazione sistematica divenendo crogioli di sincretismo e citazione di tipologie rifuse e agglomerate. I frammenti ceramici, le patere a vernice e le grandi ciotole carenate che dalla manipolazione dell’età del ferro si spingono alla romanizzazione di Mediolanum e dell’area insubre si armonizzano con i modellati roccaille e le manipolazioni di residui di lavorazione di Boisi che arrivano a citare un contemporaneo Asarotos oikos in teca. Francesca Longhini si accorda nella sua ricerca con i pigmenti delle decorazioni parietali  della Domus romana di via Correnti, integrandosi con i frammenti di colore su tela di piccolo formato ad emulazione del lacerto. Eva Reguzzoni presenta un set di ceramiche mimetiche nella lavorazione con le antiche tipologie di ascendenza celtica, che riproducono a colombino bicchieri e piccole olle frammentate in cottura dipinte negli interni in oro, nel letterale riferimento ad una leggendaria età aurea perduta e infranta. Giovanni De Francesco cita il design domestico di oggetti trasformati, celati o non ancora dischiusi. Uno studio della forma in fieri diventa un mix di colore e materia che si assimilano nello spirito agli ingobbiati medievali dell’insediamento monastico di Sant’Eustorgio, con motivi decorativi o attributivi al contesto della vita quotidiana delle monache. Tamara Ferioli dialoga in associazione serrata con i corredi da necropoli di tombe femminili. I gioielli di Ferioli realizzati con raffinata manualità riusano elementi di natura che nelle loro forme ormai prive di linfa vitale si uniformano ai metalli ossidati o alle perle frammentarie delle parure di sepolutura. La natura è di nuovo citata da Giulia Berra in una sorta di sperimentazione paleoecologica di forme vegetali e repertori di ali di insetto e penne policrome di uccelli. La scomposizione delle forme parte da strutture coniche in ceramica grossolana di condensatori per la produzione farmacologica di ossido di zinco . L’oggetto archeologico, unico per sua tipologia, viene trasposto in una suggestione di forma e restituito in una variazione naturale di strutture dall’architettura aerodinamica, trasponendosi nell’immaginario dell’artista in reticoli, alveari di ali o semi-capsula di piume, ipotetici talismani-viatico. Con la consueta ironia e la virtualità in loop di un’immagine animata da Faith Holland, nel riferimento al carattere pubblico di un atto intimo proprio della logica schermocratica, figure femminili si pettinano alludendo idealmente ad una cosmesi senza tempo testimoniata dal frammento di pettine in osso proveniente da necropoli dell’area di Sant’Eustorgio. Lucia Veronesi dialoga con un lacerto di pavimento cementizio con scaglie di marmi policromi, che diviene perimetro per delineare un paesaggio costruito, secondo le modalità proprie dell’artista, in una sequenza di incursioni immaginifiche sul mondo della casa, popolata e animata dallo spirito degli oggetti. 




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