Friday, May 6, 2011

LA CALATA DELLE CAVALLETTE


Il nostro campo come tutti gli altri |...| si popolava e si riempiva di cavallette che allagando pascoli e seminati |...| irrompevano dappertutto come una fiumana inarrestabile. Nel primo periodo della mia vita campestre, non esistevano provvedimenti contro di esse. |...| Per le strade e per i sentieri non si poteva passare né irrompere. Erano letteralmente gremite e ammantate dalle locuste |...|. Il cielo cambiava colore. Da azzurro diveniva opaco, affumicato. L'orizzonte si oscurava di una nebbia strana. L'atmosfera cambiava e nuvole di cavallette si addensavano a ciel sereno. Senza tuoni né lampi, subito, scoppiava il più terribile dei temporali. Le cavallette fioccavano dall'alto a miriadi, atterrano una sull'altra nel vortice delle loro ali. Il sole si eclissava e per due tre ore non si intravedeva più, come se sovrastasse il fumo di un violento incendio. Molti pastori legavano agli alberi o al grano gli amuleti per esorcizzarle, ma non c'era nulla da fare.
|...| Il terreno appariva mosso e danzante. Era come se fosse coperto da una neve animata che si muoveva e si spostava seguendo la sua danza affamata.
Quando un campo veniva così "cavallettato", il primo giorno appariva un suggestivo tappeto privo dei cespugli e dei sassi. Due o tre giorni dopo sassi ed arbusti spiccavano sopra quel manto divoratore, spogli e rosicchiati |...|.|...| Dopo una settimana quel manto si sprofondava sempre di più, affossandosi sulla superficie creando delle piazzole enormi, una confinante con l'altra. Il campo sembrava arato, pronto per la semina. Le radici del pascolo e del fieno scomparse. E si intravedeva solo la terra polverosa e corrosa dalla devastazione, come un maggese erpicato. Alla fine anche i robusti tronchi dei rovi, dei sugheri |...|, i massi e i muri avevano cambiato aspetto. |...| Insomma questi insetti divoravano tutto: per essi non esisteva nulla di velenoso tra le erbe e le piante. Era una pulizia generale. La visita della fame doveva lasciare tutto pulito.
La furia era proporzionale al caldo. Solo al crepuscolo la loro devastazione veniva meno, anche se non cessava la loro fame. Il fresco e la brezza della sera impacciavano le loro ali e le rattrappivano, togliendo loro la forza di mangiare. |...|
In queste ore i maiali di ogni ovile (e così cani, volpi e rapaci) uscivano a cavallettare. |...| Così i pastori per uno strano scherzo della situazione a onta della carestia in quegli anni, almeno nel periodo estivo, avevano grassi i maiali. certo per le altre bestie era un problema. Le pecore a mala pena riuscivano a portare nella pelle slanata lo scheletro del loro corpo |...|. |...| Comunque, spinti da una fame che lentamente li stava portando alla morte, spesso gli erbivori si trasformavano in insettivori. |...|
La gente era disperata dalla fame e i rimedi rudimentali riuscivano inefficaci contro questo flagello. Gli ortolani circoscrivevano i loro orti con paglia o fieno misto a frasche che facevano bruciare lentamente. Il fumo era un rimedio abbastanza efficace. ma dove c'era il bestiame, questo sistema non si poteva applicare. Non restava che intervenire fisicamente. La mattina i pastori approfittando della immobilità e fiacchezza delle locuste, imitando i maiali, cavallettavano anch'essi.
|...| L'opera purtroppo riusciva inutile. L'assalto dei maiali, degli altri animali, imitato ad arte dai pastori si risolveva nel nulla. |...| Le cavallette si riproducevano in modo pauroso. La terra pullulava dappertutto. Migliaia e migliaia di uova si schiudevano giorno per giorno sotto l'azione del sole. Tutta la terra sembrava un'immensa sorgente di locuste, turbinata dall'interno dallo schiudersi delle uova e bombardata e crivellata dall'esterno dalle cavallette ce vi piombavano e vi grandinavano durante i lunghi meriggi.
I pastori si preoccupavano sempre di più. Non si sapeva come fare. Si ricorse agli esorcismi.|...| in occasione delle feste patronali il parroco pregava incitando i fedeli a fare altrettanto.
|...| Si racconta che in un paese dei dintorni, alla festa di San Narcisio, dopo la processione per il paese, i credenti portarono per i campi vicini il santo. Ultimate le preghiere di rito e la dovuta benedizione, alla fine lo deposero con lo scopo di fugare le cavallette su una collina |...|. |...|Il giorno era caldo. E nel primo pomeriggio, a onta di San Narcisio, le cavallette grandinarono sullo spiazzo e sul suo simulacro di legno. In capo a due giorni i fedeli andarono a riportarlo in chiesa e con grande stupore lo trovarono monco di un braccio e rosicchiato da per tutto.
Finalmente vennero presi provvedimenti più efficaci e più organizzati. Le varie amministrazioni comunali ingaggiarono squadre anticavallette che durante l'estate battevano ed animavano le campagne. Il loro intervento però, benché tempestivo, si rivelò inefficace sin dall'inizio. Era sempre un intervento localizzato come quello dei pastori. Si trattava infatti di squadre di lanciafiamme a benzina da usare sui punti dove le cavallette si ammassavano. |...|
La stessa cosa accadde più tardi con la "crusca avvelenata". Succedeva che la benzina si esauriva, la crusca avvelenata finiva, ma le cavallette aumentavano sempre quasi per incanto. Calavano dal cielo o spuntavano dal suolo, dalle uova dell'anno precedente.
Il loro ciclo vitale durava da maggio a luglio. |...| Negli ultimi giorni di vita covavano nel suolo, crivellandolo letteralmente con il loro culo acuminato per deporvi le uova.|...|
Un'operazione più efficace venne però nel quarantasei tramite l'irrorazione periodica de pascoli, a rotazione, con l'arsenico. I pascoli venivano completamente avvelenati più volte, a turno e per contrade, in tutto il territorio del comune |...|, in modo da consentire ai pastori di sfamare il proprio gregge senza che corresse il rischio di morire avvelenato. |...| finalmente la campagna a poco a poco cambiò aspetto al punto da divenire un campo nevicato da una grandine vulcanica e rossiccia. Da una "neve" di insetti morti e bruciati dal veleno, che non ondulava né giocava più il terreno nell'orgia della sua danza famelica.

Gavino Ledda, "Padre padrone"
 
 
Sardegna anni '40. Per chi crede che certi flagelli appartengano ad un remoto passato.

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